Berlin, Staatsoper im Schiller Theater, “Dido and Aeneas” di Henry Purcell
Prima la danza, poi il canto
Dopo il recente successo di “Tannhäuser” (recensito qui), Sasha Waltz torna alla Staatsoper con il suo “Dido and Aeneas”, allestimento creato nel 2005 che ha segnato il primo incontro della coreografa tedesca con il mondo dell’opera e che a distanza di tempo continua ad incontrare favori di pubblico e critica.
Sasha Waltz concepisce lo spettacolo come un’opera coreografica (scelta in parte giustificata dalla natura di “masque” dell’opera di Purcell che, oltre a canto e musica, prevede danza e pantomima) e la danza diventa centro e motore dello spettacolo.
L’intento della Waltz è emancipare la danza dalla funzione di “divertissement” e affidarle il compito di raccontare la storia ma, ritenendo lo sviluppo di Dido and Aeneas troppo veloce ed ellittico, ha lavorato insieme ad Attilio Cremonesi (musicologo e direttore delle prime rappresentazioni) per realizzare una nuova versione dell’opera decisamente più lunga (105 minuti contro i consueti 80 minuti) e dare maggiore respiro alla componente coreografica. Cremonesi, in seguito alla comparazione delle tre diverse partiture ad oggi pervenute, ha inserito nuovi frammenti musicali integrati da recitativi e parti musicali e corali provenienti da altre composizioni di Purcell ritenute formalmente compatibili.
Questa versione è creativa e innovatrice ma non definitiva nel percorso critico di ricostruzione di una partitura che rimane misteriosa e, a nostro avviso, funziona solo in sede di “rappresentazione coreografica” dove l’opera è al servizio della danza.
Il successo dello spettacolo si deve, oltre che all’assoluta integrazione canto-danza-musica, a un forte impatto visivo di grande purezza estetica e, non a caso, l’immagine simbolo della produzione è quella dell’acquario luminoso (scena di Thomas Schenk e della stessa coreografa) che attraversa in orizzontale tutta la scena, dove nel prologo i danzatori (ovvero nereidi e tritoni) si tuffano dall’alto di una passerella per disegnare coreografie subacquee dalle linee eteree e sinuose. L’ondeggiare dei corpi, dei vestiti e della schiuma crea l’illusione di un universo marino mitologico e onirico (fondamentali le luci di Thilo Reuther che esaltano la pelle nuda e l’acqua lattiginosa) che, seppur nella modernità di segno, risulta autenticamente barocco e crea meraviglia nel farsi e disfarsi degli abbracci e nel mutevole fluire dell’acqua il cui livello scende fino a lasciare su di una ipotetica battigia i tritoni per preparare la vista di Cartagine.
Didone è “doppiata“ da due danzatrici che ne rappresentano i non detti di un’anima divisa fra sogno d’amore e ragion di stato, dualismo che qui si traduce anche nell’opposizione fra la sognatrice Belinda e la Seconda Donna che, nella rivisitazione della partitura, acquisisce un ruolo di primo piano, facendosi portatrice di temi politici.
Troviamo discutibile l’inserimento di una lunga festa di corte in cui un maestro di danza impartisce lezioni ai ballerini con un declamato parlato piuttosto divertente che però rallenta il fluire della vicenda senza apportare nuovi significati drammatici. Inoltre gli abiti fantasiosi e improbabili (costumi di Christine Birkle) dai colori sgargianti con tanto di maxi parrucche, racchette da volano e delfino gonfiabile creano un’atmosfera burlesca e surreale estranea alla tinta dell’opera, come del resto Didone ed Enea ridotti a tristi manichini su cui vengono alla fine accatastati tutti i vestiti.
Si applaude però il talento poetico della Waltz nella rappresentazione della natura con immagini di ovidiana memoria: le mani levate e frementi dei danzatori stretti a grappolo si fanno chiome arboree, i corpi che rotolano a terra generano un moto ondoso e accompagnano l’incedere di Belinda come campi di grano agitati dal vento.
Didone durante l’ultimo lamento funebre dipana i lunghi capelli davanti al viso come fossero una simbolica ragnatela, ma il finale vero è affidato a una danzatrice che accende a terra piccoli fuochi destinati a consumarsi nel buio e nel silenzio, momento di grande bellezza per come sobrietà e commozione coincidano.
Il cast si è rivelato eccellente da un punto di vista scenico, ma più modesto sul piano vocale, forse a causa di un continuo movimento coreografico che inevitabilmente attenua la portata emotiva delle voci soliste.
Ci è piaciuta la Didone di Aurore Ugolin che ha saputo infondere con voce morbida di bel timbro brunito giusto lirismo e malinconia al personaggio. La Belinda di Deborah York sfoggia voce fresca, ma di estensione limitata. La seconda Donna di Céline Ricci si apprezza soprattutto per la gestualità nervosa e scolpita. Non particolarmente approfondito l’Enea di Reuben Willcox che stenta ad assurgere a figura di primo piano. Le tre streghe sono qui affidate a voci maschili e la scelta determina un maggiore effetto grottesco: Fabrice Mantegna è la Strega, le altre due sono interpretate da Sebastian Lipp (che risulta essere anche un marinaio vocalmente gradevole) e Michael Bennett, impegnato altresì nel ruolo di uno spirito. Come già anticipato i cantanti sono doppiati da uno o più danzatori, Yael Schnell e Michal Mualem traducono i pensieri di Didone mentre le parti di declamato parlato sono principalmente affidate alla voce narrante di Charlotte Engelkes,danzatrice versatile e temperamentosa.
Un plauso nei confronti del coro, il Vocalconsort Berlin, che si emancipa dalla funzione di commento “fuori dall’azione” e diventa parte attiva della vicenda fondendosi coi danzatori di cui ripete ad arte le movenze; ottimo anche per il canto puntale e l’intensità della narrazione.
Nonostante l’impostazione barocchista, evidente nella chiarezza di articolazione, la concertazione di Christopher Moulds è morbida ed omogenea e lascia trasparire anima e calore. L’orchestra Akademie für Alte Musik Berlin esegue con grande finezza la partitura e lo strumentale è prodigo di colori e suggestioni. Particolare rilievo hanno le sonorità di strumenti a percussione anche inusuali come le castagnette.
Applausi entusiasti alla fine per una produzione che, se pur non completamente condivisibile agli occhi del melomane, mantiene a distanza di tempo un potere di fascinazione forte.
Visto a Berlino il 10 maggio 2014